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Il coraggio della vulnerabilità

In memoria di Ezio Bosso

 

18 maggio 2020

“Io non ti so dire se sono felice, però ti so dire che tengo stretti i momenti di felicità, che li vivo fino in fondo, fino alle lacrime. Così come accetto i momenti di buio, sono una persona normale. Ho una filosofia, che è quella di legarsi di più ai momenti felici perchè sono quelli che poi ti serviranno da maniglia per ritirarti su quando sei nel letto e non riesci ad alzarti”

E' ormai notizia nota che il 15 maggio 2020 il musicista Ezio Bosso – contrabbassista, pianista, compositore, direttore d'orchestra – ci ha lasciati. Nei giorni scorsi sono state tantissime le persone che hanno voluto ricordarlo tramite un articolo, un post, un'immagine, una citazione. Non solo amici intimi, colleghi e chi aveva avuto la possibilità di conoscerlo personalmente, ma anche moltissime persone che nel corso del tempo erano entrate in contatto con la sua figura ed erano rimaste colpite, affascinate – innamorate - dalle le sue straordinarie doti, oltre che musicali, soprattutto umane.

 

Desidero anch'io dargli il mio saluto, ora che ha attraversato la sua "dodicesima stanza" (come forse direbbe lui, in riferimento a una delle sue composizioni più famose - “C'è una teoria antica che dice che la vita sia composta da dodici stanze. Dodici sono le stanze che ricorderemo quando passeremo all'ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza ma pare che questo accada nell'ultima che raggiungeremo”).

Desidero scrivere di lui perchè credo che Ezio Bosso fosse una persona dotata di una straordinaria intelligenza emotiva, che si declinava sia in una profonda autoriflessività sia in una rara capacità empatica: era in grado di cogliere, restituire e valorizzare le vibrazioni di sé stesso, degli altri e del mondo. Con profondità, sensibilità, delicatezza, eleganza. Questa sua caratteristica gli ha permesso di donarci molti spunti di riflessione di cui fare tesoro. Uno dei suoi ultimi album si intitola "The things that remain", Le cose che restano. E' questo che voglio raccontare oggi: ciò che mi è rimasto di lui, ciò che mi ha più colpita della parte della sua vita che ho avuto la possibilità di conoscere, seppur da lontano. Messaggi potenti, preziosi, che meritano di restare.

Da una decina di anni era malato, Ezio. Una malattia degenerativa, una di quelle diagnosi che ti gettano nello sconforto più scuro, in “giorni che passano uguali fatti di sonno e dolore e sonno per dimenticare il dolore”, nella “paura di quei domani lontani che sembra il binocolo non basti”. Tanto è stato detto su questa sua condizione e non è mancato anche chi non ha trovato occupazione migliore che accusarlo di aver acquistato notorietà proprio grazie alla sua malattia.

 

A mio parere uno dei ringraziamenti più grandi che come esseri umani possiamo rivolgere a Ezio va in direzione opposta: nonostante la sua malattia ha avuto il coraggio di esporsi in pubblico, ha corso il terrorizzante rischio che lo sguardo del mondo su di lui cambiasse, ha percorso la possibilità di trasformarsi agli occhi degli altri solo e soltanto in un disabile e che questa caratteristica finisse per offuscare gli altri aspetti della sua identità. Ci vuole coraggio per compiere un gesto così minaccioso. Quante energie impieghiamo tutti continuamente per strutturare parti adeguate di noi da mostrare agli altri e per celare le parti non desiderabili che potrebbero prendere il sopravvento agli occhi altrui e relegarci in ruoli assoluti e stigmatizzati.

 

Ma credo che questo non sia stato l'unico atto di coraggio di Ezio, non il più potente almeno. Capita che molte persone affette da patologie simili alla sua cerchino di nascondere il più possibile la loro condizione, oppure si impegnino a restituire agli altri un'immagine di forza, resistenza, tenacia, quasi di imperturbabilità. Sono certamente tutti modi diversi e personali di fare fronte alla minaccia che la malattia rappresenta, ciascuno meritevole di rispetto. Ma Ezio credo fosse addirittura un passo oltre: accanto alla sua carica vitale aveva anche lo straordinario coraggio di mostrarsi vulnerabile, sofferente, non invincibile. In definitiva: umano. Non si ritraeva dal narrare la sua esperienza come popolata anche da momenti bui, fatti di dolore, rabbia, paura, delusione. Non aveva bisogno di presentarci solo la sua parte combattiva e vitale, aveva il coraggio di ammettere che si può anche soffrire, che è umano e legittimo farlo, che è parte dell'esperienza a cui la vita ci chiama. E come tale, la sofferenza – e la possibilità di narrarla e condividerla – può tramutarsi in un passaggio importante, necessario, fertile di nuove evoluzioni e nuovi inizi.

 

Quante volte non ci concediamo di entrare in contatto con le nostre emozioni né tanto meno di esprimerle davanti agli altri, troppo impegnati a pretendere da noi stessi di essere forti e invincibili, troppo minacciati all'idea di essere giudicati dagli altri come deboli e fragili. Ezio credo abbia avuto il grande merito, fra i tanti, di incarnare un grande esempio di autenticità e umiltà: ci ha insegnato che dimostriamo la nostra forza quando abbiamo il coraggio di essere vulnerabili. La vulnerabilità ci libera dall'illusione di onnipotenza, dalla pretesa di essere invincibili: se la accettiamo possiamo comprenderla, prendercene cura e da lì sentire che siamo pronti per ripartire, per ricostruire. E spesso questo passo possiamo farlo insieme agli altri, condividere la vulnerabilità permette di sentirci reciprocamente più vicini, più simili, più liberi. Anche questo Ezio ripeteva spesso, che "la vita, come la musica, si può fare in un solo modo: insieme".

Grazie Ezio, fra "le cose che restano" c'è anche molto di te.

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